FISICA QUANTISTICA: Esposizione divulgativa (Italian Edition) by Giovanni Liveri
autore:Giovanni Liveri [Liveri, Giovanni]
La lingua: ita
Format: epub
editore: UNKNOWN
pubblicato: 2016-09-11T22:00:00+00:00
dove h è una costante. Quando Planck fece questa bizzarra assunzione, la sua idea iniziale era basata sul fatto che l’avrebbe utilizzata soltanto per impostare il problema e che in un secondo tempo avrebbe utilizzato una comune tecnica matematica per sbarazzarsi, in un sol colpo, di tali oscillatori immaginari e della costante h, considerata essere un inutile extra. Tuttavia, con sua immensa sorpresa, egli trovò che i suoi risultati avrebbero avuto un senso soltanto nel caso in cui avesse mantenuto in vita i suoi tanto scomodi oscillatori(ovvero se la costante h avesse avuto un valore estremamente piccolo ma non pari a zero). Oggi h è nota col nome di costante di Planck , in onore del celebre fisico, ovviamente, e il suo valore è pari a 6,626x10-34 kgm2/s(ovvero 0,0000000000000000000000000000000006626 kgm2/s). Si tratta di un valore molto ma molto piccolo, ma in definitiva non pari a zero. Planck trattò la luce, la quale era considerata essere un’onda continua dall’intera comunità di fisici, come un insieme di pacchetti discreti, molto simili a particelle. Gli “oscillatori” di Planck potevano emettere luce soltanto in unità discrete di luminosità. Tutto ciò è un po’ simile a immaginare un laghetto in cui le onde possano essere alte soltanto 1,2 oppure 3 centimetri, ad esempio, ma non 1 e mezzo oppure 2 e un quarto. Le onde del nostro quotidiano non funzionano in questa maniera, tuttavia questo è quanto richiede il modello matematico di Planck. Tali “oscillatori” sono anche ciò che introdusse il “quanto” nella “fisica quantistica”. Planck si riferiva agli specifici livelli di energia dei suoi oscillatori come “quanta”(che è il plurale di “quantum”, parola latina che significa appunto “quanto”). Perciò, un oscillatore a una data frequenza poteva contenere soltanto un quanto(ovvero un’unità di energia, hf), oppure due quanti, tre quanti, e così via, ma mai uno e mezzo oppure due e tre quarti. Il nome per i singoli piccoli passi mossi da Planck resistette nel tempo e, alla fine, venne anche applicato all’intera teoria che crebbe sulle spalle di quel disperato trucchetto introdotto dal fisico tedesco. Sebbene gli venga spesso accreditata l’invenzione dell’idea dei quanti di luce, Planck non credette mai realmente che la luce potesse trascinarsi in quanti discreti, anzi, vi dirò di più, egli sperò sempre, fino alla fine, che qualcuno avrebbe trovato un modo intelligente per derivare la sua formula senza dover ricorrere a trucchetti da strapazzo! La prima persona a parlare seriamente di luce come una particella quantistica fu Albert Einstein, nel 1905, il quale utilizzò tale concetto per spiegare l’effetto fotoelettrico. L’effetto fotoelettrico è uno di quei fenomeni fisici che sembra debba risultare semplice da descrivere: quando si illumina un pezzo di metallo con della luce, vengon fuori degli elettroni. Giusto per intenderci, tale effetto è alla base del funzionamento di semplici sensori di luce e di rilevatori di movimento: la luce che incide sulla superficie di un sensore, sbatte fuori dal metallo gli elettroni, che alla fine fluiranno all’interno di un circuito. Quando cambia la quantità di luce che
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